mercoledì 1 ottobre 2008

I Modelli della Comunicazione – I° Parte

Ciao a tutti, oggi conosceremo i principali modelli della comunicazione, da quelli lineari a quelli che, invece, interpretano la comunicazione come un processo circolare e interattivo. La conoscenza dei modelli aiuta a definire sia il contesto in cui avviene una comunicazione che la relativa applicazione dei principi inerenti. Mostreremo come il destinatario rivesta un ruolo fondamentale nella costruzione del significato, che non è quindi predeterminato, ma muta al mutare delle situazioni e degli interlocutori. Lo schema di Shannon e Weaver ha l'obiettivo di individuare sia la forma generale di ogni processo comunicativo, sia i fattori fondamentali che lo costituiscono, quegli elementi, cioè, che devono essere presenti ogni qual volta si verifichi un passaggio di informazione. La fonte è l'origine dell'informazione. Essa genera un messaggio che un apparato trasmittente trasforma in segnali. I segnali a loro volta sono trasmessi mediante un canale fino al ricettore che li converte nuovamente nel messaggio ricevuto dal destinatario. Elemento di ostacolo al buon fine del processo comunicativo è il rumore, cioè la presenza di disturbi lungo il canale, che possono danneggiare i segnali. Lo spazio della comunicazione, ossia il luogo ove essa avviene, può influenzare l’apprendimento dell’esperienza e interferire con i contenuti. Lo spazio relazionale deve essere avvolto dal “silenzio” della concentrazione, dove è possibile creare ambienti favorevoli allo scambio. Il concetto di spazio è affidato a tre elementi: concentrazione, rumore, ambiente. Quanto tempo è possibile concentrarsi sull’altro e su se stessi, in una relazione? Fino a che l’interesse per quella circostanza non è terminato, o intervengono impedimenti esterni che ne determinano la fine. L’ascolto attivo è basato sulla concentrazione, il cui livello più è alto, più potrà originare risultati di sintesi soddisfacenti. E’ opportuno sottolineare che per “concentrazione” non si intende uno “sforzo”, ma la naturale dedizione ad un’attività relazionale coinvolgente. Una situazione ad alta concentrazione, dove il rumore è assente, o comunque contenuto, consente una comunicazione più ricca, sia emotivamente che razionalmente. Si riescono a percepire bene le variazioni del tono di voce, un tremore, un’indecisione. La situazione ad alta concentrazione è rara e difficile da vivere per lunghi periodi di tempo, soprattutto se il rumore è “interno”, cioè dovuto a difficoltà relazionali. Come conseguenza sia del livello di rumore, che della capacità personale, possiamo avere invece situazioni a bassa concentrazione, dove più che comunicare, si fanno “chiacchiere”. In simili situazioni, le possibilità sono due: o si “passa” il tempo (acquisizione di informazioni superficiali), o si ricorre al monologo interno, per comprendere, dall’osservazione dell’altro e di se stessi, quali sono gli impedimenti ad una comunicazione e come fare a superarli. Ogni interferenza alla comunicazione si definisce “rumore”. Un ambiente relazionale deve avere un “controllo” del rumore sufficientemente valido a limitare le interferenze. In casi estremi, quando il rumore può distorcere la comunicazione, è meglio interrompere il contatto, poiché è del tutto inutile relazionarsi per comprendere male, o non comprendere affatto. Un ambiente disponibile al flusso di comunicazione consente un buon livello di comunicazione. È un ambiente “aperto”, dove c’è spazio per parlare, ascoltare, comprendere; un ambiente privo di giudizi, di stereotipi, dove il “qui ed ora” è l’unico riferimento temporale. Un ambiente disponibile si riconosce subito dall’accoglienza, dalla distensione, dal sorriso. L’ambiente ostile, dove regna il conflitto, l’aggressività, e dove il rumore sovrasta la comunicazione, trova la sua direzione temporale nel passato, dove si ragiona per “ricordi” e le interferenze deviano il corso del flusso di comunicazione. L’ambiente ostile andrebbe affrontato con le giuste armi difensive, ma abbassando la guardia, di tanto in tanto, per vedere se, da qualche parte, fiorisce il seme della possibilità di comunicare. L’ambiente neutro è la sede del tempo futuro. Tutto quello che viene detto o fatto è interpretato e proiettato “altrove”. Perfino le emozioni mutano in altre. Spesso è la paura della chiarezza, di far domande, di sentirsi dire qualcosa di spiacevole o non corrispondente alle nostre aspettative, che genera la “fuga” in avanti, prediligendo così un ambiente neutro. Il modello linguistico-semiotico parte della considerazione che la comunicazione è efficace solo quando i codici utilizzati sono patrimonio comune a tutti i comunicanti coinvolti e quindi possono essere compresi e interpretati nella totalità del loro significato. All'emissione del messaggio corrisponde un fatto comunicativo che, per essere correttamente compreso, necessità della condivisione di un codice comune da parte dell’emittente e del destinatario del messaggio stesso. Per essere patrimonio comune i segni che costituiscono i messaggi devono far riferimento ad un codice che li regola e li struttura mediante norme ben precise. Le componenti fondamentali di un segno sono date: dal significante, ovvero la parte concreta del segno, quella percepita dai nostri sensi, e che si presenta diverso per ogni codice (ad esempio la parola "casa"); dal significato, che corrisponde al concetto cui rimanda quello specifico significante (ad esempio "costruzione per abitazione stabile"); dal referente, che indica la cosa reale cui rinvia il segno (ad esempio l'edificio reale nel quale abitiamo). Il modello psicologico-sociale pone come oggetto di studio l'osservazione del comportamento, da cui dedurre l'atteggiamento interiore e la motivazione alla comunicazione. Questo modello si basa su alcuni presupposti: il comportamento è dato dall'insieme di quelle attività che possono essere osservate da un'altra persona; l'atteggiamento viene valutato rispetto all'orientamento favorevole o sfavorevole verso l'altro; la motivazione viene ricondotta alla necessità di regolazione del comportamento, tendente a soddisfare un bisogno o a raggiungere una meta. Joe Luft e Harry Ingram, nel 1961 crearono uno schema, detto modello di consapevolezza o "finestra di Johari". Quando ci poniamo di fronte agli altri siamo disposti a rivelare alcune cose di noi (so e dico), ma non altre (so ma non dico). A dire cose che sappiamo e a tacerne altre. Tuttavia possiamo serbare dentro di noi cose che abbiamo dimenticato o di cui non siamo consapevoli (non so e non dico), o a rivelare nostro malgrado cose di cui non siamo consapevoli, ma che gli altri percepiscono e interpretano correttamente (non so e dico). Le interazioni fra i quattro quadranti determinano quattro tipi di rapporti: comunicazione aperta, informazioni che trapelano o rivelazioni inconsapevoli, confidenze o sfoghi, contagio emozionale. Conoscersi significa man mano estendere il quadrante in alto a destra (Io aperto), riducendo gli altri. La finestra si applica anche alla comunicazione non verbale e ai comportamenti. L'io aperto si mostra con gesti volontari, nel modo di vestire e negli atteggiamenti sociali. L'io inconscio e quello occulto si rivelano con atteggiamenti involontari ma ben decifrabili da chi ci osserva. Il modello conversativo-testuale studia il rapporto tra "destinatario e testo". La linguistica testuale individua la significazione di un testo considerandolo nella sua forma globale, strutturale e complessa. Il significato globale può quindi emergere da mille elementi per cui una frase rimanda ad un’altra, anche lontana nel testo (anafora), o addirittura ad elementi che nel testo sono sottintesi. Per quanto riguarda l'aspetto "conversativo" del rapporto di comunicazione, viene proposta l'immagine di un fruitore che, grazie alle proprie capacità e competenze nel costruire un'interpretazione, può arrivare ad una condizione di "riscrittura" del testo. La collaborazione del fruitore alla produzione del testo avviene dunque perché il contenuto della comunicazione muta con i destinatari, con la condizione della ricezione, con lo status sociale e culturale del fruitore, dei suoi gusti, dei suoi processi di interferenza e sovrapposizione. Secondo il modello conversativo performativo la comunicazione è un processo attraverso cui un'idea è trasferita da un emittente ad un destinatario con l'intenzione di cambiarne il comportamento. Questo approccio alla comunicazione presuppone ovviamente un forte controllo dell'intenzionalità da parte di chi lancia il messaggio. Un altro elemento indispensabile è il livello di accettabilità della comunicazione, poiché alla base di una conversazione deve esistere uno spazio di comprensione comune tra chi parla e chi ascolta, ed una disponibilità a comunicare. La comunicazione si concretizza attraverso varie funzioni chiamate "atti linguistici". Gli atti linguistici, secondo John Searle sono: atti direttivi, atti commissivi, atti dichiarativi, atti assertivi, atti espressivi, atti di domanda. Ciascun atto linguistico svolge una funzione specifica nell’interazione comunicativa.

Gli Atti direttivi: detti anche “di comando”, consistono nel rivolgere all’interlocutore delle richieste esplicite, che hanno valore solo se chi li esprime ha il diritto di formularli. Gli Atti commissivi: si riferiscono al prendere un impegno, e presuppongono un rapporto di subordinazione. Gli Atti dichiarativi: esprimono la dichiarazione esplicita di uno stato di fatto, di una posizione presa, di una linea di tendenza e producono cambiamenti nelle relazioni sociali. Gli Atti assertivi: permettono di comunicare la propria percezione della realtà. Gli Atti espressivi: servono a manifestare i propri stati d'animo e a comunicare a livello emotivo. Gli Atti di domanda: soddisfano il bisogno di chiarezza di chi comunica per poter procedere nella relazione e nelle iniziative comuni. Il linguista Roman Jakobson, ha proposto una lettura della comunicazione fra mittente e destinatario. Per essere operante, il messaggio richiede in primo luogo il riferimento a un contesto che possa essere percepito dal destinatario, e che sia suscettibile di verbalizzazione. In secondo luogo esige un codice interamente, o almeno parzialmente, comune al mittente e al destinatario. Infine occorre un contatto, un canale fisico e una connessione psicologica fra il mittente ed il destinatario, che consenta loro di stabilire e mantenere la comunicazione. A questi distinti elementi della comunicazione Jakobson sovrappone le finalità o funzioni linguistiche, tra cui: la funzione emotiva è costituita dall’insieme degli elementi che qualificano lo stato emotivo; la funzione denotativa esprime la qualità emotiva del messaggio di chi parla; la funzione fàtica comprende tutti gli elementi della comunicazione tesi a stabilire la presenza del “contatto” tra gli interlocutori; la funzione conativa riguarda gli aspetti pragmatici della comunicazione, ovvero quelle espressioni che agiscono sul destinatario per spingerlo ad un’azione; la funzione referenziale o informativa la comunicazione è soprattutto diretta a fornire una determinata informazione sulla realtà; la funzione estetica o poetica l'attenzione del mittente è specialmente diretta verso la struttura stessa del messaggio, verso la sua organizzazione formale (come l'aspetto fonico delle parole, la scelta dei vocaboli); la funzione metalinguistica il messaggio fa riferimento ad elementi che definiscono il codice stesso (come quando si chiede chiarimenti su un certo termine). Beh l'argomento è alquanto lungo e complicato! Per oggi vi lascio e vi attendo con la prosecuzione dell'argomento il prossimo mercoledì. Grazie e buona comunicazione!!!

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