mercoledì 24 settembre 2008

La Comunicazione per la Formazione


Ciao a tutti, scusate per il ritardo! Oggi parliamo di un particolare ambito della comunicazione di assoluta valenza sociale. Mi riferisco alla comunicazione che un “maestro” deve tenere per poter insegnare qualcosa un un suo “discente”. La comunicazione per la formazione è una comunicazione per obiettivi e la definizione della sua area d’azione è data dall’ampiezza delle finalità. Fare formazione è un'attività di facilitazione dell'apprendimento, che consiste nella capacità di creare le migliori condizioni possibili. In questa competenza rientra la capacità di comunicare efficacemente di cui noi ci stiamo occupando in questa serie di post. In questo contesto la relazione interpersonale assume un aspetto ambiguo: si pone sempre sullo scambio umano alla pari, ma attribuisce al ruolo dell’esperienza del formatore una posizione di responsabilità sul piano del passaggio di contenuti, comportamenti, valori, nei confronti del ruolo di chi apprende. Quindi il rispetto dei ruoli è fondamentale, così come la capacità di comunicazione integrata del formatore. Il contenuto della formazione deve poter agire su piani molteplici. La parte informativa, da sola è insufficiente. L’apprendimento basato su un processo intellettuale ha poche possibilità di qualificarsi come evento di cambiamento, se non è sorretto da una comunicazione che sa agire a livello emozionale ed esperienziale. In qualsiasi progetto formativo la relazione interpersonale rappresenta il nucleo fondamentale dell’attività, e deve proporsi quale supporto allo svolgimento dei processi finalizzati a quel triplice obiettivo definibile nei termini di conoscenze, comportamenti, atteggiamenti. I metodi che possono essere impiegati per raggiungere questo triplice obiettivo devono avere la forza di integrare le direttrici dell’apprendimento verso le tre sfere, in maniera equilibrata. L’aula è un contenitore, entro il quale si svolge il “teatro del sé”, in cui le persone devono sentirsi libere di esprimersi, dichiarare difficoltà, vivere i conflitti. Fuori di là c’è il mondo, che attende, come verifica, i risultati dell'apprendimento. L’unico giudizio consentito sarà sul livello di performance finale. La comunicazione formativa ha come requisito indispensabile la scelta della modalità di comunicazione più appropriata. Un’analisi dei migliori metodi di formazione e delle tecniche in essi contenute, può far decidere la strada da intraprendere ai formatori che vogliono svolgere il loro lavoro con competenza relazionale, cognitiva ed emozionale. All’interno del metodo si trovano racchiuse le tecniche di comunicazione più efficaci che faciliteranno il compito della formazione. Prima di scegliere un metodo di formazione, l’attenzione va rivolta ai reali bisogni degli allievi, ai requisiti che vengono richiesti in uscita, agli obiettivi e al cambiamento atteso. Il focus dell’attenzione è sulle persone, mai sull’ “effetto culturale”. Un bravo formatore deve portarsi dietro la sua preparazione tecnica, ma soprattutto l’arte del trasferimento dell’esperienza e la capacità di relazione, che passano attraverso il metodo che poi sceglierà di impiegare. Il counseling è un metodo di formazione che integra diversi metodi e tecniche allo scopo di sviluppare le doti relazionali indispensabili alla crescita di sé e delle persone che dovranno essere formate. Nella relazione d'aiuto fra un esperto formatore (counselor) ed una persona bisognosa di scoprire e/o riscoprire le proprie risorse (discente), il counselling implica la creazione di una relazione collaborativa motivazionale e di un clima appropriato per la costruzione di una prassi mirata al cambiamento. Attraverso lo studio dei principi dell'analisi transazionale, è possibile rendere immediatamente applicabili ed efficaci gli assiomi della comunicazione umana, coinvolgendo se stessi in un processo di apprendimento che permette di acquisire nuovi strumenti, operativi e non solamente teorici, per relazionarsi con il mondo esterno, in qualsiasi campo in cui ci sia una grande importanza nello scambio di comunicazione tra individui. La PNL è una metodologia che si basa sul principio che ogni comportamento ha una sua struttura che può essere cambiata. Ci sono vari campi nei quali la PNL è utile: la comunicazione, lo sviluppo delle capacità mentali manageriali, lo sviluppo delle capacità personali. E questi tre campi hanno, nella capacità di gestire il proprio comportamento in maniera finalizzata, il punto in comune con il bagaglio indispensabile al formatore. La funzione dell’accoglienza è l’incontro, la rassicurazione, la possibilità di relazione, che il formatore deve saper stabilire con i discenti. Il formatore accogliente non è mai giudicante, si pone sul piano relazionale in apertura, e offre le migliori condizioni per l’incontro. L’accoglienza sa indirizzare il riconoscimento del merito, sa premiare o consolare quando ci si trova davanti ad un fallimento, e sa aiutare a superare gli inevitabili ostacoli di tutti i processi di apprendimento. La componente normativa che il formatore deve possedere si mette in azione quando è necessario dare un ritmo al lavoro, esaminare i risultati, stimolare la dedizione all’apprendimento. La norma richiama all’ordine, ad una disciplina di sé che evita di cadere nella trasgressione, nel tentativo dannoso di disconoscimento dell’importanza del percorso formativo. Il formatore deve essere in grado di comprendere chi ha davanti, poiché nella vita relazionale troverà molti allievi, tutti diversi tra di loro. Il suo lavoro comprenderà l’abbattimento di barriere all’apprendimento, e quindi alla comunicazione, egli dovrà cercare di sciogliere quelle resistenze che si manifesteranno durante il percorso, rispettando la personalità dei discenti. La matrice di Gallup può essere utile per farsi un'idea della motivazione delle persone a partecipare alle attività formative, avendo come criterio il grado di soddisfazione che esse mostrano rispetto alle conoscenze possedute. I profili individuati sono il risultato della combinazione tra due direttrici: "quanto sono soddisfatto del mio livello di capacità" e "quanto mi ritengo capace di saper fare". Il presidiatore si caratterizza per un'alta soddisfazione sulle proprie capacità e un'alta consapevolezza di saper fare. Ha la tendenza a conservare e mantenere le proprie convinzioni con una certa ostinazione e ad avere comportamenti di distacco e conflitto nei confronti dei suoi interlocutori. Per il presidiatore "non c'è nulla che noi possiamo raccontargli che già non conosca". La strategia per catturare la loro attenzione consiste nel mettere in crisi, con domande garbate e con ironia, le loro conoscenze. Gli alieni si caratterizzano per l'accontentarsi di quel poco che sanno fare. La strategia per catturare la loro alienazione consiste nel diminuire il grado di soddisfazione sulla competenza, enfatizzando la rilevanza e l'importanza dell'argomento di cui si sta parlando. I "bevitori" si caratterizzano per la sensazione di saper fare poco e per la rabbia associata a questa sensazione. Hanno spesso ansia di apprendere e aspettative molto elevate nei confronti del docente. Si può dire che abbiano "fame" di conoscenza, e che provano indignazione quando le proprie aspettative non vengono soddisfatte. La strategia per catturare l'attenzione degli individui appartenenti alla categoria dei "bevitori" è comunicare dando molte informazioni, con molta disponibilità, approfondendo sempre, se richiesto, l'argomento trattato. I masochisti si caratterizzano per un'insoddisfazione di fondo sulle proprie competenze, che pur riconoscono essere molto buone. La strategia per catturare l'attenzione degli individui appartenenti alla categoria dei masochisti, consiste nel riconoscere la loro competenza in una data materia o su uno specifico argomento. É inoltre importante porgere l'informazione con empatia e con una buona dose di partecipazione emotiva. La formazione può essere vista come un processo comunicativo finalizzato all’apprendimento, quindi si tratta di un processo molto complesso, in cui sono presenti da un lato il docente e dall’altro il discente. Se il rapporto tra le parti è troppo sbilanciato, la comunicazione diventa poco efficace. Una delle situazioni più comuni, che potrebbe rendere la relazione problematica, si verifica quando esiste un rapporto troppo sbilanciato tra gli interlocutori. Se il formatore stabilisce una comunicazione ad una via e presta poca attenzione all’interazione, il suo diventa un monologo, dove i tentativi di interruzione vengono vissuti come disturbo. Le cause possono essere diverse, come ad esempio la scarsa empatia, la difficoltà di concentrazione, la bassa competenza relazionale, una certa inadeguatezza nei metodi di comunicazione utilizzati. L’effetto che si ottiene con questo approccio relazionale è l’ascolto passivo. L’ascolto passivo è causa di basso apprendimento o di errori di interpretazione, che possono generare distorsioni sia sul piano cognitivo che su quello comportamentale. Il formatore deve impegnarsi a stimolare l’ascolto attivo, e accertarsi che i messaggi vengano trasmessi all’allievo nel modo giusto. Domande, esercitazioni, osservazione del non verbale, stimoli emotivi e fisici, sono gli strumenti migliori per agire in tal senso. Il rischio di trasformare la comunicazione in una trasmissione monotona di informazioni è un’altra causa di poco coinvolgimento dell’allievo. Bisogna concentrarsi sulle proprie competenze linguistiche e paralinguistiche per essere in grado di trasformare il proprio pensiero in comunicazione efficace. Il cardine della competenza comunicativa è sempre la formazione, che necessita però di chiarezza e semplificazione per dare garanzie di ascolto. Il formatore deve essere un comunicatore creativo. Deve saper sperimentare, inventare soluzioni innovative, aprirsi a nuove frontiere sia nel metodo che nelle modalità relazionali. In questo modo egli sarà una fonte per i suoi allievi di intuizioni e ne stimolerà il pensiero creativo. Essere creativi significa uscire dagli schemi rigidi e soprattutto superare la mancanza di motivazione per innovare ogni volta e aprire la strada al cambiamento. Spesso chi è destinatario della formazione tende a spostare la comunicazione su un piano polemico, a causa delle proprie resistenze al cambiamento. Il rischio di conflitti è molto elevato, poiché anche il formatore può avere difficoltà a comprendere il vero significato di una specifica domanda o affermazione forte da parte dell’allievo, che può nascondere una provocazione o una sfida. Per evitare il conflitto, il formatore deve sottolineare sempre il rispetto dei ruoli, ancorando gli interventi alle proprie competenze e ai propri obiettivi. Concentrarsi sul proprio ruolo, cercando di evitare di mettere in dubbio le proprie capacità di riuscita, potrebbe essere un modo per aiutare gli allievi ad uscire dal piano polemico e a riconoscere i reali bisogni. Nella comunicazione formativa è determinante che il maestro gestisca gli aspetti della propria personalità in modo tale da contenere la relazione con il discente entro un assetto in grado di supportare l'apprendimento. Il formatore deve infatti porsi solo come tramite per la crescita dei discenti evitando di assumere atteggiamenti da protagonista che, se troppo evidenziati, rischiano di ridurre notevolmente le possibilità di espressione dei discenti. Il processo di apprendimento, e specularmente il processo di insegnamento, necessità del feedback, ossia di quelle informazioni che gli altri ci comunicano su quanto stiamo comunicando o facendo. Se la comunicazione è stata impostata in modo corretto, si assisterà a un feedback spontaneo, come ad esempio una richiesta di approfondimenti, oppure ad un intervento particolarmente creativo di un discente. Ciò significa che la comunicazione è bidirezionale, cioè che sta funzionando. Il caso contrario, cioè l'assenza di interventi da parte dei discenti, significa che qualcosa non va, e occorre "indagare" cosa sia. In questo caso sarà utile “forzare” il feedback dei discenti stimolandoli ad intervenire, a chiedere chiarimenti, oppure ricorrendo ad esercitazioni, test, domande di rinforzo. Il formatore deve lavorare individualmente su tutte le persone, e per ognuna di esse dovrà avere un quadro chiaro della situazione in uscita dal processo di apprendimento. Dall’analisi del feedback potrà ottenere informazioni sull’efficacia del percorso, correggere il tiro, eliminando o inserendo nuovi argomenti, o modificando il metodo e le tecniche. Guidando i discenti verso l'espressione del loro potenziale, il formatore vive a sua volta un’esperienza molto arricchente. La crescita professionale di una persona è un risultato che indica che la formazione è stata progettata e gestita nel modo appropriato. Aiutare i discenti a superare problemi, resistenze, a scoprire nuove possibilità, ad esplorare le proprie potenzialità o semplicemente ad apprendere nuove procedure o tecniche, può essere molto gratificante.

mercoledì 17 settembre 2008

L'ascolto efficace II° Parte - Ascolto Empatico


Ciao, benvenuti al terzo appuntamento con la “Comunicazione Interpersonale”!!
Oggi parleremo ancora di ASCOLTO EFFICACE ed in particolare di ASCOLTO EMPATICO.
Il modo più efficace per capire anche il punto di vista emotivo dell'interlocutore è sicuramente saper assumere un atteggiamento di ascolto empatico. Con questo post vi voglio guidare nell'attivare le vostre risorse per ascoltare in modo empatico, mettendovi alla pari con l’altro. Solo così, infatti, è possibile vivere la relazione comunicativa in modo completamente “aperto” a contatto con l'altro e come occasione di crescita. L'ascolto empatico rappresenta un livello ancora successivo all'ascolto attivo. E' la capacità di calarsi nei panni dell'altro per comprendere a pieno il suo punto di vista, fatto non solo di pensiero ma anche di emozioni, stabilendo con l'interlocutore un contatto esente da giudizi e basato sulla comprensione reciproca. L’empatia non implica necessariamente dare consigli, che potrebbero essere piuttosto un modo per controllare l’altro o renderlo dipendente, né significa porsi come risolutore dei problemi altrui. L’ascolto empatico, però, può consentire di dialogare con l'interlocutore in modo che questi possa ricevere informazioni che lo aiutino a chiarirsi meglio le idee. Per realizzare un ascolto empatico bisogna cercare il più possibile di rinunciare a qualsiasi forma di prevaricazione o sottomissione, ponendosi esattamente alla pari con l’altro. Anche se l’incontro avvenisse tra un top manager e un operaio, ciascuno dei due avrà l’opportunità di scambiarsi il proprio punto di vista esperienziale, arricchendo in qualche modo la visione dell'altro. L’ascolto empatico prescinde perciò completamente dalla cultura e dall’intelletto e colloca tutti sullo stesso piano. Parlare piace, ma ancor di più piace essere ascoltati e compresi, soprattutto perché libera dalla responsabilità e dalla fatica dell’ascolto. Quando l’ascolto empatico si realizza si riconosce subito: gli occhi divengono un ponte di collegamento, la comunicazione è più fluida, difficilmente le pause o i silenzi vengono interrotti e l'atteggiamento degli interlocutori è più rilassato e spontaneo. L’ascolto empatico è silenzioso, ma non privo di parole. Gli incoraggiamenti a proseguire, le domande stimolanti, la riformulazione, aprono la via della chiarezza. L’attività dell’ascolto è rivelata dalla concentrazione: se chi parla perde il filo, il buon ascoltatore lo aiuta subito a riprendere il discorso, esattamente da dove si era interrotto, condividendo la sintesi del vissuto, sia razionale che emozionale. Le domande di chiarimento vengono rivolte a se stessi per organizzare meglio il rapporto tra pensiero e azione. Occorre però limitare l’impiego di queste domande per evitare che la comunicazione diventi un monologo. Infatti, poiché un linguaggio che impiega troppo questo tipo di domande esclude temporaneamente l'interlocutore dalla possibilità di entrare nel discorso, risulta noioso e porta progressivamente alla chiusura del dialogo. Le domande di approfondimento possono essere chiuse o aperte. In ogni caso mirano ad ottenere informazioni precise o a capire meglio il pensiero che si cela dietro al linguaggio. Aiutano ad aprire altri canali di comunicazione e arricchiscono il linguaggio di simboli, metafore, lo rendono insomma più “visivo” nella sua rappresentazione. Il feedback, ossia l’informazione di ritorno necessaria per verificare la comprensione del messaggio, è favorito nell’ascolto attivo e ancor di più in quello empatico dalla serena predisposizione a qualsiasi tipo di risultato possa nascere dalla comunicazione. Il feedback in questo senso è libero da manipolazioni, e non è una libera interpretazione della componente emozionale del messaggio dell'interlocutore, ma una sintesi attinente a quanto è stato realmente espresso dall'altro. Nell’ascolto empatico non ci sono regole rigide né ricette universali, quello che conta è il livello di confidenza e disponibilità che si riesce ad instaurare con l’altro. Tuttavia alcuni suggerimenti possono tornare utili: non avere alcuna fretta, cercare di cambiare i punti di vista, chiedere eventualmente aiuto per capire, lasciar trasparire le emozioni, impiegare l’ironia, ascoltare se stessi. L’ascolto attivo si sviluppa con tempi lenti. Non è possibile stabilire in anticipo l’effettiva durata di una conversazione. E questa regola a maggior ragione vale per l’ascolto empatico. Quando il processo di comprensione si è concluso, si avvertirà una tranquillità nella relazione a livello emotivo, mentre a livello cognitivo non saranno presenti altre perplessità o domande da rivolgere. Se ci si allontana dai modelli, dalle distorsioni cognitive, dalle barriere all’ascolto, dalle rigidità di apprendimento, si assisterà ad un flusso di comunicazione, verbale e non verbale, che potrà arricchire i punti di vista di entrambi gli interlocutori. L'acquisizione del punto di vista dell'altro può portare a modificare in maniera più o meno pronunciata il proprio punto di vista. L’impiego delle domande diviene una richiesta d’aiuto per capire meglio e per approfondire, da parte di chi ascolta. La ricerca di chiarezza è un elemento fondamentale, perchè ascoltare significa dare senso alle parole dell'altro. Perfino un cenno del capo può essere una richiesta di comprensione. Chiedere aiuto per capire, mai per giudicare, interrogare o colpevolizzare, significa anche mostrare interesse per le parole dell’altro, reciprocando in questo modo il suo desiderio di esprimersi e comunicare con noi. Se durante l’ascolto si lascia trasparire il proprio vissuto (soprattutto attraverso il canale non verbale), chi parla si sentirà più libero di esprimere la propria emotività. Viceversa, se l’ascoltatore indossa una maschera, si creerà una distanza relazionale e l’ascolto rischierà di divenire semplicemente una “tecnica”. Colui che parla, infatti, si accorge che l’altro nasconde qualcosa e, per riflesso, sceglie una maschera ancora più pesante da indossare. L’ironia sa risollevare situazioni complesse, nelle quali la tensione rischierebbe di divenire troppo alta degenerando in aggressività e conflitto. Un sorriso, una battuta, alleggeriscono la pesantezza di conversazioni noiose o inconcludenti, risvegliando anche l'attenzione dell'altro. Inoltre, “ascoltare” e dare spazio al proprio sorriso, crea una maggiore disponibilità verso chi parla e chi ascolta. I segnali provenienti dall’altro assumono valore solo se l’ascoltatore sa prima ascoltare se stesso, le proprie emozioni, il proprio pensiero profondo. L’ascolto di se stessi non termina mai alla fine di un incontro, ma l’elaborazione conduce ad una sintesi solo quando chi ha ascoltato ottiene il proprio feedback, oltre quello dell’altro. Il momento della sintesi varia a seconda dell’intensità e dell’importanza della relazione. In questo modulo sono state descritte le dinamiche dell’ascolto empatico, che presuppone un atteggiamento privo di protagonismo e aperto nei confronti dell’altro. Sono stati presentati dei consigli utili per entrare in empatia con l’interlocutore ed è stata illustrata la strada verso la comprensione dei contenuti e delle emozioni nella comunicazione.

mercoledì 10 settembre 2008

L'ascolto efficace - I° Parte - Ascolto Attivo


Ciao, benvenuti al secondo appuntamento con la “Comunicazione Interpersonale”!!
Oggi parleremo di ASCOLTO EFFICACE ed in particolare di ASCOLTO ATTIVO, nel prossimo post poi parleremo di ASCOLTO EMPATICO. Cominciamo.
Ascoltare non significa sentire quello che l’altro ci dice, quanto dare spazio all’altro, essere pronti a cogliere ciò che ci vuole comunicare, anche se ciò che ci sta dicendo non corrisponde alle nostre aspettative. L’ascoltatore attivo desidera comprendere l'altro, e sa dosare nella comunicazione razionalità ed emozioni. Bisogna integrare emozioni e ragione nell’ascolto per non rischiare di deformare i messaggi e coglierne il reale significato. Ma procediamo con ordine.
Si è sempre molto presi dal parlare. Quasi sempre quando siamo presi dal parlare sentiamo il bisogno di essere visti, amati, compresi. Rischiamo così di divenire un fiume in piena, che scorre senza rispettare alcun argine. L’altro diventa funzionale a se stessi, un “oggetto” relazionale, una prova del proprio diritto ad esistere, piuttosto che una preziosa possibilità di scambio e crescita.
Lasciando spazio all’altro si è in grado di ascoltare le risposte a quelle che, altrimenti, diventerebbero solo domande, cui non sempre si riesce a rispondere da soli. Si passa, così, dal monologo interno al dialogo. Ascoltare l’altro è come guardare in uno specchio. Vedere riflessi i propri stati emotivi nelle reazioni dei nostri interlocutori ci aiuterà a comprendere quegli aspetti di noi poco chiari, che non si accettano o che in fondo ci fanno paura. Se riusciamo a stabilire un contatto con l’altro superando il nostro egocentrismo, si potranno comprendere meglio anche i propri pensieri, che spesso si aggrovigliano senza che si riesca a trovare vie d’uscita.
Saper ascoltare è però frutto di un percorso, che richiede pazienza. E’ una “decisione” non formale, che coinvolge interamente la persona e la porta ad aprirsi e a cercare il contatto. Alla base di questa scelta ci sono la volontà di appagare i propri bisogni (essere compresi, chiarirsi, sviluppare nuove idee, ecc.) e il desiderio di crescita personale. L’ascolto è influenzato dal livello di stima che si ha del proprio interlocutore. Ascoltare in modo attivo significa decidere di passare da un atteggiamento del tipo “io ho ragione, tu hai torto” che conduce solo al conflitto, ad una forma mentale che suggerisce: “io ho ragione, ma anche tu”, che porta a raggiungere uno spirito collaborativo nella discussione.
Se anche l’altro proprio non ci piace, bisogna ricordare che ogni incontro ha sempre qualcosa da darci, è una nuova esperienza. Non si sa da dove possa arrivare l’illuminazione, alle volte anche un incontro rapido e apparentemente inutile può riservare dei preziosi insegnamenti.
Ad un giudice saggio furono portati due litiganti. Egli ascoltò le ragioni del primo e decise: “tu hai ragione”. Poi il giudice ascoltò il secondo e disse: “Anche tu hai ragione”. Il consigliere intervenne: “eccellenza, ma non possono avere ragione tutti e due!”. Il giudice saggio allora disse: “Mmmm…, hai ragione anche tu”.
E’ impossibile conoscere la verità assoluta, poiché essa non esiste. L’unico modo è ascoltare per trovare una mediazione. Nella vita tutte le relazioni presuppongono un compromesso.
In genere quanto più i bisogni premono sulla persona, tanto più l’ascolto diviene selettivo, e tende a comprendere solo quello che appaga i bisogni e risponde alle proprie aspettative, procedendo paradossalmente anche nella direzione opposta al vero significato della comunicazione. Le aspettative distorcono l’ascolto perché lo veicolano verso una strada pre-disegnata. L’ascolto necessita di strumenti di decodifica indispensabili per comprendere il messaggio. Se il linguaggio utilizzato non è chiaro, ma è ermetico, manipolatorio, oppure il linguaggio tra i due referenti non è condiviso, la comunicazione può dare adito a fraintendimenti e incomprensioni. La situazione emotiva interferisce notevolmente sull’ascolto. Solo se la componente emotiva e quella razionale si trovano in equilibrio è possibile percepire correttamente anche i segnali non verbali attivati nella comunicazione.
Il contesto in cui avviene la comunicazione determina l’intensità e la qualità dell’ascolto, non solo per ovvi fattori ambientali (come la rumorosità di un ambiente). A seconda della dimensione sociale, pubblica, privata o intima, varia l’interesse ad approfondire lo scambio comunicativo, e viene attivata una diversa tipologia di ascolto, con maggiore o minore coinvolgimento emotivo. L’ascolto sociale consente di creare e consolidare i rapporti, per divertirsi, per esprimere amicizia, per sviluppare alleanze, ecc.. Le relazioni che si stabiliscono non sono però impegnative e la capacità di ascolto è superficiale, lascia poche tracce nella memoria. L’ascolto sociale si presenta come ascolto “tribale” poiché in esso i soggetti si scambiano codici relazionali di base. L’ascolto intellettuale è centrato sui dati, sui fatti, sulle informazioni. Si attiva la memoria “utile” alla risoluzione di problemi (lavoro, studio, ecc.) e all’apprendimento cognitivo. L’ascolto intellettuale è distaccato dalle emozioni, è formale, e si può paragonare all’immagazzinamento dei dati in un computer.
L’ascolto attivo consente di recepire informazioni razionali ed emotive, di comprendere non solo il messaggio, ma anche notizie sulla fonte da cui proviene e sull’intenzionalità, i bisogni e le aspettative dell'interlocutore. Se si ascolta attivamente l’altro, si riescono a percepire anche informazioni di cui lo stesso interlocutore non è a conoscenza (inconsapevoli), ma che trapelano dalla comunicazione non verbale. La forza dell’ascolto attivo è legata alla capacità di osservazione, analisi, introiezione e sintesi della comunicazione. Ascoltare senza emettere giudizi fa sentire l’altro maggiormente libero di esprimersi.
Se si nota che l'interlocutore è distratto, volge lo sguardo altrove, e il flusso di comunicazione si interrompe, bisogna tentare di richiamare la sua attenzione, ma se il tentativo fallisce, meglio desistere: senza l’ascolto infatti la dispersione della comunicazione è talmente elevata da portare a distorsione o azzeramento delle informazioni. Quando due persone entrano in contatto, tra di loro avviene un incontro, i monologhi divengono dialoghi, e se c’è la disponibilità alla comunicazione e all’apertura emotiva, si assiste ad un flusso armonico, dove ci si ascolta l’un l’altro. Un ponte di sguardi attenti è indice di un livello alto di attenzione. Non sempre si arriva a comunicazioni profonde e il livello di incontro può essere anche breve, ma è comunque importante che avvenga uno scambio che faccia comprendere i motivi della comunicazione e la situazione emozionale degli interlocutori.
Al termine di ogni incontro, ma solo al termine, è possibile analizzare sia il contenuto della comunicazione, sia il vissuto emotivo. Il giudizio complessivo di attrazione, repulsione o neutralità, farà comprendere il significato che ha avuto per sé quel dato incontro. Bisogna prima ascoltare se stessi e le proprie emozioni, chiedendosi: “come sto?”, per scoprirsi “tranquillo, agitato, sereno, pensieroso, inquieto, ecc.”. Solo in un secondo momento si possono elaborare le informazioni ricevute e organizzarle in pensieri precisi. Attenzione però a non stereotipare le relazioni. Dichiarare “mi piaci, non mi piaci” lega la relazione ad un’affermazione dicotomica, del tipo “o bianco o nero”, che non permette di vedere le molteplici sfumature che esistono. Non sempre il silenzio è implicito all’ascolto. Infatti l’ascolto attivo è fatto anche di domande e riformulazioni, utili a favorire la comprensione e la chiarezza. Riformulare serve a capire, a chiarire un concetto male espresso o non compreso a fondo. Riformulando una frase si mette l’altro in condizione di dover ascoltare di nuovo quanto ha detto, così da poter precisare meglio, confermare o addirittura negare il concetto espresso.
Beh mi sa che per oggi ho parlato un po' troppo. Vi lascio alle vostre riflessioni e vi rimando al prossimo post per continuare questo viaggio verso l'ascolto efficace. Ciao e alla prossima.

mercoledì 3 settembre 2008

Il pensiero creativo


Ciao a tutti, come promesso oggi cominciamo un viaggio attraverso le vie della comunicazione interpersonale. Perchè “Pensiero Creativo”? Beh, il pensiero creativo non è altro che la nostra creatività, certo tutti nella vita usiamo la nostra creatività, non solo nel campo della moda, design, spettacolo, arte, ma sempre e soprattutto nella comunicazione e nelle relazioni interpersonali.
Ma cos'è la creatività? La creatività è un’attitudine. Ogni essere umano, indipendentemente dal suo sesso, età, razza o religione, ha un potenziale creativo, ovvero la capacità di avere idee originali ed efficaci (J.P. Guilford); “La vita è uno stretto intreccio tra routine e creatività” (A. Maslow).
Creare significa innovare!!! E l'innovazione non ha proprio nulla e che fare con la routine! Nella storia gli uomini anno “capito” che RIPRODURRE è più semplice e gli innovatori, i creatori sono stati spesso emarginati. Il pensiero creativo produce associazioni tali da ridurre al minimo l'influenza dei filtri mentali (RICORDI, EMOZIONI, VALORI, ATTEGGIAMENTI, ASPETTATIVE) sempre presenti nel pensiero razionale; si parla spesso di pensiero laterale. “Ogni creazione è prima di tutto un atto di distruzione” (P.Picasso), bisogna avere il coraggio di definire “superato” il vecchio ed agire con creatività verso nuove idee affrontando con coraggio l'incertezza che il “nuovo” porta con sé. Ma veniamo a noi, qual'è la connessione tra il pensiero creativo e la comunicazione? Beh semplice, il linguaggio è il primo trasmettitore di creatività. La scelta dei termini, il modo di presentarsi, di esprimere la propria personalità, la composizione delle frasi sono segnali evidenti del livello di creatività che un individuo può sviluppare. La capacità di provare “stupore” è essenziale nel processo creativo. Il pensiero laterale permette di allargare le visioni, la ricerca di soluzioni. In realtà niente è inventato da zero, si tratta sempre di reinventare ciò che già esiste in modo creativo. Il bello è che il pensiero creativo si può sviluppare ed esistono diversi metodi per farlo. Il TRAINING consiste nel far fluire liberamente il flusso dei pensieri anche quelli che divergono dall'obiettivo specifico dell'attività (ad esempio può capitare che venga un'idea vincente quando si è impegnati in tutt'altra attività). Se si è in gruppo si può utilizzare la tecnica del BRAINSTORMING che consiste nel “buttar giù” idee in modo quanto più spontaneo e privo di valutazioni. Altre tecniche sono: la SINETTICA, il PROBLEM SOLVING, il ROLE PLAYING, la TECNICA DEI SEI CAPPELLI (magari riuscirò a parlarvene in qualche altro post ;-p )
Vi lascio con qualche parola di Pablo Neruda sulla sua visione della creatività. Vi aspetto la prossima settimana con un post sull'ASCOLTO EFFICACE fondamenta della comunicazione efficace.
“Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi. Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità”
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Ti consiglio anche di approfondire il tema da questi link:
I SEGRETI DELLA CREATIVITA'
Come sempre PICCOLI costi per GRANDI INSEGNAMENTI !!!

martedì 2 settembre 2008

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