giovedì 9 ottobre 2008

I Modelli della Comunicazione – II° Parte – Gli Assiomi

Ciao a tutti, scusate per il ritardo, ma non mi sono dimenticato di voi !!! Riprendiamo l'argomento con questa seconda parte dedicata agli assiomi della comunicazione; ci sarà una terza parte più interessante, non abbiate paura, dovete essere fiduciosi! Cominciamo!!!

Il modello pragmatico-relazionale si riferisce al comportamento delle persone in ambito comunicazionale. In questo modulo conosceremo i cinque assiomi della comunicazione e affronteremo i rischi legati ai messaggi paradossali che spesso gli interlocutori si scambiano. Lo studio della comunicazione si può dividere in tre settori: sintassi, semantica, pragmatica. La sintassi è la branca della linguistica che studia le regole che stabiliscono il posto che le parole occupano in una frase e come le frasi si dispongano a formare un periodo. La semantica studia il significato delle parole, degli insiemi delle parole, delle frasi e dei testi. La pragmatica studia i modi in cui è possibile usare il linguaggio in situazioni concrete. Bateson, Watzlawick, Beavin e Jackobson, gli autori del libro “La pragmatica della comunicazione umana” definiscono alcune proprietà semplici della comunicazione, che hanno fondamentali implicazioni interpersonali. Queste proprietà sono degli assiomi, cioè fatti ritenuti talmente evidenti nell'esperienza comune da non necessitare né di dimostrazione né di discussione. Questi sono i cinque assiomi della pragmatica della comunicazione umana: 1. non si può non comunicare, 2. ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione in modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione, 3. la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione, 4. gli esseri umani comunicano sia con un modulo numerico sia con quello analogico, 5. tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza. Non comunicare è impossibile: si comunica anche attraverso il comportamento e ovviamente è impossibile non avere un comportamento. L’intero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio. Indipendentemente dalla propria volontà infatti gli individui si scambiano un gran numero di segnali, attraverso vari canali. Ad esempio due persone che salgono insieme in ascensore e durante il tragitto guardano fisso nel vuoto, si stanno comunicando il desiderio di non comunicare. Lo studente che se ne sta per conto suo in classe durante il break sta comunicando che non vuole parlare con nessuno e i suoi compagni, in genere, recepiscono il messaggio lasciandolo stare. Immagina una situazione tipica, l’incontro tra due estranei di cui uno vuol comunicare, mentre l’altro no.

Le reazioni possibili sono: rifiuto della comunicazione, accettazione della comunicazione, squalificazione della comunicazione, sintomo come comunicazione. Ecco qualche esempio di comportamento relativo: se rifiuto la comunicazione, il messaggio implicito che invio è "mi rifiuto di comunicare", con le conseguenze espressive, verbali e non verbali della mia decisione; se accetto di comunicare posso farlo in diversi modi, anche senza utilizzare le parole. Basta che accetti la relazione, senza chiudermi; squalificare una relazione significa non ritenere gli altri e le loro informazioni utili, quindi, in qualche modo, non mettersi in relazione con gli altri; posso agire in maniera tale da esprimere i segni della mia volontà o non volontà di comunicare, ad esempio attraverso l’azione non verbale. Ogni atto comunicativo non solo trasmette informazioni, ma al tempo stesso suggerisce un comportamento. Ogni comunicazione ha quindi un aspetto di notizia e uno che informa sul modo in cui si deve assumere tale comunicazione. La capacità di metacomunicare in modo adeguato è una condizione necessaria alla comunicazione efficace, ma è anche strettamente collegata al problema della consapevolezza di sé e degli altri. Ad esempio è diverso dire "vi prego di fare silenzio per consentire il proseguimento della lezione" da "fate silenzio e seguite la lezione". Anche se hanno più o meno lo stesso contenuto, le due frasi definiscono relazioni docente/allievi molto diverse tra loro. Questo aspetto della comunicazione è in genere meno consapevole. Gli scambi comunicativi non costituiscono una sequenza ininterrotta, ma sono organizzati proprio come se seguissero una sorta di punteggiatura. E’ possibile in tal modo identificare le sequenze di chi parla e di chi risponde, definire ciò che si considera come “causa” di un comportamento, distinguendola dall'“effetto”. I modi di punteggiare una sequenza di eventi sono molto diversi e quindi possono generare conflitti di relazione. Sono infatti gli individui stessi a definire durante l’interazione la relativa punteggiatura. Ad esempio, prendiamo un insegnante e uno studente che hanno un problema di cui ciascuno ha la sua parte di responsabilità: lo studente affrontando lo studio in maniera insufficiente, l'insegnante comportandosi in maniera severa e criticando. Se spiegano il perché della loro condotta, lo studente afferma che non ha voglia di studiare perché l'insegnante ormai lo ha preso di mira e lo ha etichettato come svogliato, qualsiasi impegno scolastico sarebbe valutato in maniera insufficiente. L'insegnante invece considera questa spiegazione come una deformazione di ciò che succede realmente dal momento che lei si è fatta un'opinione negativa del ragazzo perché lui non ha voglia di studiare e critica lo studente per il suo scarso impegno. Se non si risolvono le discrepanze relative alla punteggiatura delle sequenze di comunicazione, l’interazione è un vicolo cieco. La comunicazione patologica può diventare un circolo vizioso che si interrompe solo se la comunicazione diventa l’oggetto della comunicazione stessa, cioè quando i comunicanti diventano in grado di metacomunicare, uscendo fuori dal circolo. Vi è infatti una circolarità dei comportamenti per cui è impossibile stabilire quale sia la causa e quale l’effetto. Il modulo numerico riguarda l’uso di parole, il modulo analogico consiste invece in tutte le modalità della comunicazione non verbale che servono soprattutto a trasmettere gli aspetti relativi alla relazione tra i partecipanti. Nel tradurre un messaggio analogico in uno numerico, bisogna aggiungere funzioni di verità logiche che mancano al modulo analogico. L'uomo sembra l'unico organismo che utilizza modalità analogiche e numeriche di comunicazione. Il linguaggio numerico ha permesso lo scambio di informazioni e la trasmissione di conoscenza nel corso del tempo, che altrimenti non sarebbero state possibili. C'è un settore però in cui contiamo quasi esclusivamente sulla comunicazione analogica ed è quello della relazione. Qui il linguaggio ha solo una limitata percentuale di efficacia: si può dire qualsiasi cosa con le parole, ma è difficile sostenere un'affermazione sul piano analogico se è una bugia. L’interazione simmetrica è caratterizzata dall’uguaglianza, e si ha questo tipo di interazione quando un comportamento di un membro tende a rispecchiare quello dell’altro. Le relazioni complementari sono invece caratterizzate dalla differenza esistente tra le persone: un partner assume una posizione superiore e l’altro assume una posizione inferiore. Le posizioni non implicano una valutazione come buono, cattivo, forte o debole, semplicemente definiscono il tipo di relazione che si può creare tra due individui. La relazione tra due studenti è una relazione simmetrica, la relazione insegnante-allievo è una relazione complementare. In una relazione, due diversi comportamenti che si sono adattati ai rispettivi ruoli, sono interdipendenti, cioè si richiamano a vicenda. Un individuo non impone ad un altro una relazione complementare, ma piuttosto ognuno di loro si comporta in un modo che presuppone il comportamento dell'altro e nello stesso tempo gliene fornisce le ragioni. Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari a seconda che siano basati sull'uguaglianza o sulla differenza. Il paradosso è un messaggio contraddittorio in quanto afferma contemporaneamente un concetto e il suo contrario. Ad esempio è un paradosso dire a qualcuno "non devi avere paura", in quanto l'interlocutore che ci comunica di avere paura, sta rilevando una situazione esistente e involontaria. Si ha un paradosso anche quando si afferma una cosa che successivamente viene disconfermata con il proprio comportamento o col proprio dire. Ad esempio pronunciamo elogi verso una persona per la sue qualità ed al minimo errore gli gridiamo che non è bravo a niente. Ecco un esempio di comunicazione paradossale tratto dalla storia. I nazisti avevano promesso a Sigmund Freud (il padre della Psicoanalisi) di poter uscire dall'Austria con un visto a condizione che sottoscrivesse una dichiarazione da cui trapelasse che era stato "trattato dalle autorità tedesche e in particolare dalla Gestapo con tutto il rispetto e la considerazione dovuti alla sua fama di scienziato". I nazisti volevano usare Freud per diffondere la loro propaganda nel mondo. Freud si trovò davanti ad un dilemma: sottoscrivere il documento implicava aiutare il nemico, rifiutarsi significava andare incontro a qualunque conseguenza. Ma Freud riuscì ad imporre il paradosso ai nazisti. Come? Chiese di poter aggiungere al visto frasi come queste: "Posso vivamente raccomandare la Gestapo a chicchessìa", la situazione era così ribaltata. La Gestapo che aveva costretto Freud a lodarla, ma coloro che sapevano cos'era il nazismo, capivano il sarcasmo di quella lode che negava con ironia il contenuto sottoscritto per forza. Un messaggio basato sul doppio legame è codificato in modo che: asserisce qualcosa, asserisce qualcosa sulla propria asserzione, queste due asserzioni si escludono a vicenda. Quindi se il messaggio è un'ingiunzione, l'ingiunzione deve essere disobbedita per essere obbedita. Ad esempio, può capitare che i bambini possano percepire la rabbia e l'ostilità di un genitore, e che però il genitore neghi di essere arrabbiato e pretenda che il bambino ammetta che lui non è arrabbiato. Così il bambino si trova di fronte al dilemma se credere al genitore o ai propri sensi. Se crede ai propri sensi, mantiene una salda presa sulla realtà, ma incrina la sua relazione col genitore; se crede al genitore, mantiene la relazione di cui ha bisogno, ma distorce la propria percezione della realtà.

Oh Dio oggi è proprio troppo, ma so che mi perdonerete!!! Alla prossima!!!

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